PADIGLIONE DELLA STAMPA
Da “Quadrante 2” riportiamo il seguente articolo del dott. Guido Modiano, al quale diamo, senza riserva alcuna, la nostra totale adesione.
La mostra della stampa alla Triennale costituisce un equivoco come programma d’esposizione e una occasione mancata come attuazione pratica. L’equivoco è annunciato nello stesso titolo, che autorizzava i grafici a sperare in una mostra sinceramente dedicata alla loro arte, come ad una delle arti minori. Invece per il direttorio, stampa è principalmente sinonimo di “giornale”: cosa che con l’arte grafica ha niente di comune, perché il giornale, nel caso nostro, è considerato sotto la specie politica e lirica.
Quale apporto provenga da questa attività all’assunto dell’arte decorativa moderna, chiunque può vedere da sé: e a chi si meravigli di avvicinamenti tanto strani, basterà ricordare in quale conto sia tenuta l’arte grafica, tra noi, in fatto di esposizioni e di comprensione, e quali risultati si ricavino da tale atteggiamento. L’esperienza di Monza 1930 non ha servito. In quella occasione la mostra grafica è stata pretesto per esercitazioni spiritose di “architetture metafisiche”, cornice esuberante a un contenuto melanconico; a Milano, l’ambiente non è più adatto di allora alla presentazione di stampati e in più la mostra ha servito di manifestazioni che per l’arte grafica sono irrilevanti.
Recriminabile fatto, perché anche senza voler sopravvalutare la tipografia, non si può disconoscere la necessità della sua coerenza con le altre arti e con il gusto dell’epoca, per la forza propagandistica che è contenuta nella sua universalità.
Il direttorio stesso ha mostrato di averlo inteso, sforzandosi di dare agli stampati e alla propaganda della Triennale un aspetto “alla giornata”: se poi gli uni e l’altra hanno tradito l’intenzione, con le loro attuazioni di gusto, diciamo, dubbio, l’importanza del riconoscimento non viene diminuita.
In sott’ordine a questo, due fatto imponevano una sezione seria, competente dedicata all’arte tipografica: la rarità, in Italia, di mostra grafiche organiche e rigorose; l’essere la tipografia nuova, sempre in Italia, troppo lontana da quella maturità che sola potrebbe legittimare un disinteresse propagandistico.
Ammesso, sebbene non sia facile ammetterlo, che si fosse ritenuto giovevole e logico inserire in una “sagra” dell’arte decorativa la mostra del giornale, per rinnovare il fatto di Colonia e Barcellona (ricordare: si è trattato allora di due mostre ben diverse, una tecnica del ramo, l’altra supremamente eclettica – riflettere su quanto abbia perduto in efficacia la propaganda politica di allora, quest’anno XI, con la Mostra della Rivoluzione aperta e poi nel clima filo-fascista dell’Europa) si sarebbe dovuto evitare ogni equivoco: al giornale ed alle manifestazioni che ne derivano, l’intero padiglione di Baldessari; all’arte grafica, anzi alla tipografia, matrice di tutte le altre “arti” grafiche, uno spazio conveniente nella mole muziana.
Nel pasticcio del Padiglione della Stampa, la tipografia rimane in sott’ordine e si vede tolta la sua autorità. Dobbiamo concludere: ignorare quest’arte “minore” sarebbe stato preferibile al presentarla in modo tanto poco coerente con la sua importanza e con l’apporto che all’arte decorativa può provenirne.
Se presupposti programmatici di questa consistenza, erano impossibili delle attuazioni pratiche documentate sulla tipografia attuale. Difatti la mostra è una copia mediocre delle solite mostre: a parte il fatto dell’irrazionalità architettonica, dell’illuminazione insufficiente dove (mostra della fotografia) non è addirittura contraria.
Si è dimenticato che la tipografia nuova, in Italia, è ancora in una fase polemica: che la situazione grafica nel 1933 è quella dell’architetto nel 1928-29. Eppure bastava richiamarsi ai due assunti della Triennale – risposta documentata ai negatori di uno stile del nostro secolo; opera di propaganda sulle masse e di coordinazione dei produttori – per inquadrare con la maggiore evidenza programma e attuazione della mostra che ci interessa.
Tipografi d’avanguardia con esemplari valori, presentati genere per genere – attuazioni moderne di stampati d’uso comune, con i prodotti correnti accostati alle nuove interpretazioni, mediante accorgimenti grafici che rendessero chiari a tutti le ragioni ed i risultati della tipografia nuova: pagine di cataloghi come sono e come dovrebbero essere, pagine di riviste neoclassiche e pagine di gusto vivo.
Altro indice dell’impreparazione, è l’assenza di una mostra dei caratteri: elementi essenziali nella tipografia ed interessantissimi come dimostrazione di tendenze, perché le fonderie hanno una sensibilità acuta dei bisogni moderni e creano per tempo i tipi nuovi. Un invito chiaro, concreto: e le fonderie avrebbero mandato molto materiale, anche appositamente studiato in quei loro reparti preparatissimi, per valore di collaboratori ed efficacia tecnica, allo studio delle estetiche grafiche e delle intelligenti applicazioni dei tipi. Inquadrata in una sezione così predisposta, anche buona parte della mostra fotografica – nella quale la scelta del materiale doveva essere condotta con criteri più rigorosi e moderni: più “grafici” – avrebbe raggiunto un significato concreto e attuale.
Riflettere sulla possibilità di accostarsi a nuove forme, a nuove idee, di documentarsi su nuovi impieghi, per quegli artisti plastici e quegli architetti che in numero sempre maggiore diventano i collaboratori della tipografia, e ai moduli tipografici sono spinti dalle direttive dell’arte attuale.
Riflettere sulla suggestione da questo modo mal noto esercitata sopra il pubblico: committente che impone troppo spesso il proprio gusto, per ignoranza, indeciso e misoneista.
Tutti risultati raggiungibilissimi a patto che le idee fossero state chiare e annunciate a tempo opportuno. Perché chi sia appena al corrente della nostra situazione grafica, sa benissimo come il materiale sufficiente non si trovi nella produzione normale: ma debba essere preparato attraverso inviti, incarichi, concorsi.
E come s’è stimato imprescindibile aver presenti gli architetti esteri, non v’era ragione seria che sconsigliasse di fare altrettanto con i tipografi esteri. La Triennale doveva essere “europea” anche, e soprattutto, in quell’arte grafica che è la più europea delle altri e fra noi, la meno “alla giornata”. Soprattutto bisognava evitare la sezione tedesca così com’è stata attuata, per quanto rappresenta di sperequazione di materiale e d’umiliante confronto. Con rammarico vivo si deve prendere atto della magnifica occasione che è stata sciupata per situare l’Italia grafica, almeno come intenzioni, nel gruppo di testa delle nazioni europee: rammarico tanto più vivo perché questo si deve a un tremendo nemico di ogni seria nel campo dell’arte: il dilettantismo.
Guido Modiano
Campo Grafico / Year I / N.7 / July 1933
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PAVILION OF THE PRESS
From 'Quadrante 2' we report the following article by Dr Guido Modiano, to which we give, without reservation, our full support.
The printing exhibition at the Triennale was a misunderstanding as an exhibition programme and a missed opportunity as a practical implementation. The misunderstanding is announced in the title itself, which authorised graphic artists to hope for an exhibition sincerely dedicated to their art, as to one of the minor arts. Instead, for the directorate, printing is primarily synonymous with 'newspaper': something that has nothing in common with graphic art, because the newspaper, in our case, is considered under the political and lyrical species.
What contribution this activity makes to the assumption of modern decorative art, anyone can see for themselves: and for those who marvel at such strange approaches, it is enough to remember in what account graphic art is held, among us, when it comes to exhibitions and understanding, and what results are obtained from such an attitude. The experience of Monza 1930 did not help. On that occasion, the graphic exhibition was a pretext for witty exercises in 'metaphysical architecture', an exuberant frame to a melancholic content; in Milan, the environment is no more suitable than then for the presentation of printed matter, and in addition, the exhibition served events that are irrelevant to graphic art.
Recriminating fact, because even without wishing to overestimate typography, one cannot deny the necessity of its coherence with the other arts and the taste of the time, for the propagandistic force contained in its universality.
The directorate itself showed that it had intended this, striving to give the Triennale's printed matter and propaganda a 'day-to-day' look: if they then betrayed the intention, with their implementations of, shall we say, dubious taste, the importance of recognition is not diminished.
Subsequent to this, two facts imposed a serious, competent section dedicated to the art of typography: the rarity, in Italy, of organic and rigorous graphic exhibitions; the fact that new typography, again in Italy, was too far from that maturity that alone could legitimise a propagandistic disinterest.
Assuming, although it is not easy to admit it, that it had been considered beneficial and logical to include the exhibition of the newspaper in a "festival" of decorative art, to renew the fact of Cologne and Barcelona (remember: they were then two very different exhibitions, one technical in the branch, the other supremely eclectic - to reflect on how much the political propaganda of that time, this year XI, with the Open Revolution Exhibition and then in the pro-fascist climate of Europe, had lost in effectiveness) one should have avoided any misunderstanding: the entire Baldessari pavilion should have been given over to the newspaper and the manifestations deriving from it; graphic art, or rather typography, the matrix of all other graphic "arts", should have been given a suitable space in the muzian mole.
In the mess of the Pavilion of the Press, typography remains in disarray and has its authority removed. We have to conclude: ignoring this 'minor' art would have been preferable to presenting it in a manner so inconsistent with its importance and the contribution it can make to decorative art.
If programmatic assumptions of this consistency, documented practical implementations on actual typography were impossible. In fact, the exhibition is a mediocre copy of the usual exhibitions: apart from the fact of architectural irrationality, insufficient lighting where (photography exhibition) is not even contrary.
One has forgotten that the new typography in Italy is still in a polemical phase: that the graphic situation in 1933 is that of the architect in 1928-29. Yet it was enough to refer to the two assumptions of the Triennale - documented response to the deniers of a style of our century; propaganda work on the masses and coordination of producers - to frame the programme and implementation of the exhibition we are interested in most clearly.
Avant-garde typographers with exemplary values, presented genre by genre - modern implementations of printed matter in common use, with current products juxtaposed with new interpretations, by means of graphic devices that made the reasons and results of the new typography clear to everyone: pages of catalogues as they are and as they should be, pages of neo-classical magazines and pages of living taste.
Another indication of unpreparedness is the absence of a typeface exhibition: essential elements in typography and very interesting as a demonstration of trends, because foundries have a keen awareness of modern needs and create new types in good time. A clear, concrete invitation: and the foundries would have sent a lot of material, even specially studied in those departments of theirs that are well prepared, in terms of the value of their collaborators and technical efficiency, for the study of graphic aesthetics and intelligent type applications. Framed in such a section, even a large part of the photographic exhibition - in which the choice of material was to be conducted with more rigorous and modern criteria: more 'graphic' - would have achieved a concrete and topical significance.
To reflect on the possibility of approaching new forms, new ideas, of documenting new uses, for those plastic artists and architects who in ever-increasing numbers are becoming the collaborators of the typography, and to the typographic forms they are driven by the directives of present-day art.
Reflect on the suggestion of this unfamiliar manner exerted over the public: a client who too often imposes his own taste, out of ignorance, indecisive and misconstrued.
All achievable if the ideas had been clear and announced in good time. Because anyone who is just aware of our graphic design situation knows very well that sufficient material cannot be found in normal production: it must be prepared through invitations, commissions, competitions.
And just as it was considered essential to have foreign architects present, there was no serious reason against doing the same with foreign printers. The Triennale had to be 'European' also, and above all, in that graphic art is the most European of the others and among us, the least 'day-to-day'. Above all, the German section, as it was implemented, should have been avoided, insofar as it represents inequality of material and humiliating comparison. It is with vivid regret that we must take note of the magnificent opportunity that has been wasted to place graphic Italy, at least in terms of intentions, in the leading group of European nations: all the more so because this is due to a terrible enemy of every serious person in the field of art: amateurism.
Guido Modiano
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