ESTETICA PUBBLICITARIA
Il giornale, la rivista, un annuario, una guida, un orario, uno stampato qualsiasi si sono, oggi, totalmente inseriti nella nostra vita che nessuno può sottrarsi alla loro influenza anche per quella parte riguardante la pubblicità. Anzi questa pubblicità è venuta man mano aumentando, assorbendo, sia pel nome del prodotto, e sia per la sua forma, l’attenzione anche del lettore più restìo. Ed a fianco di questo suo sviluppo stanno le sorti di grandi manifestazioni che riguardano, a volte, la vita non solo d’aziende, ma di una popolazione.
Considerando questa evidente importanza della pubblicità, perché non si deve porre sopra alla sua forma quell’attenzione adeguata e valorizzare questa forma come mezzo migliore pe la sua efficacia? Perché non considerare come “primo piano” di un’affermazione pubblicitaria la sua “estetica”? estetica pubblicitaria, sissignori. La convinzione che per farsi notare e ricordare basti il nome grosso, un fondo nero od un ghirigoro qualsiasi, è una convinzione errata.
Col cammino generale delle cose verso la perfezione ed al massimo concentrato, anche la moderna pubblicità deve camminare verso quel “razionalismo” chiaro, semplice e sano. Ed ecco la necessità di ordine, di armonia, di estetica; la quale, a quanto pare, si è allontanata od è rimasta molto lontana. E questo è un fatto. Da molti anni osservo la pubblicità nei più svariati campi e nelle più svariate forme, ma ho sempre trovato della brutta pubblicità: non brutta come contenuto letterario, essendo questo un altro tema, ma brutta come forma, come disposizione, come estetica.
Raramente ho notato qualche buon esempio.
Con la mentalità di voler utilizzare tutto lo spazio perché pagato, ecco riempire fino all’inverosimile detto spazio, saltando così a piè pari tutta l’efficacia del richiamo necessario. Esempi di tal genere se ne possono vedere ad esuberanza in qualunque campo e per qualsiasi prodotto sopra qualsivoglia giornale. E gli effetti di questa manchevolezza sono presto dedotti quando si pensi che “c’è in noi una costante esigenza d’ordine e d’armonia in tutto quello che vediamo, creando in noi la misura stessa delle cose; e quando questa misura è sorpassata o non è raggiunta, se in un primo tempo sorge nel nostro spirito un sentimento di sorpresa, questo si cambia in contrarietà e disappunto. Se ci fermiamo un poco ad esaminare la stranezza della cosa, voltiamo poi la testa e ci sforziamo di pensare a cose belle e graziose per disperdere l’impressione ricevuta”.
Ed ecco delineato già l’insuccesso dell’annuncio a causa della sua brutta forma, anche se il contenuto letterario è di fattura impeccabile. Perché, si ricordi questo, la prima impressione di una qualsiasi pubblicità non è la forma letteraria con la quale è redatta, ma la forma estetica. Il nostro occhio prima di leggere vede. E non ricevendo subito una buona impressione, una carezza quasi, non rimane certo né attratto né persuaso, e scorre via. A tutto danno del prodotto che si vuol far conoscere od affermare, e per conseguenza della casa produttrice. Non so capacitarmi di cose perduri simile veste antiestetica che si ripete giornalmente senza il minimo sintomo di arresto e di sviamento.
La causa di questa insistenza non saprei se ricercarla nella mentalità della “Casa” o nell’incapacità visiva dell’artista o del tipografo, secondo se l’annuncio è disegnato o composto. Un po’ l’una e molto l’altra. Essere industriale non vuol certo dire essere artista, ed essere artista non vuol dire essere buon esteta pubblicitario. L’idea dell’industriale può essere più o meno buona, ma buona deve essere la forma data dall’artista alla medesima. Perché anche questa forma d’arte deve avere una sua psicologia, una spina dorsale, un’anima, un linguaggio come tutte le altre arti. Ed in un certo senso forse di più.
Perché mentre tutte le altre arti devono “parlare” alle grandi masse, invitarle, convincerle, suggestionarle a profitto di un prodotto x, di un’opera y o di un avvenimento z.Non voglio con le considerazione suesposte assumere veste di critico o comunque deprezzare la pubblicità odierna nella sua linea massima; desidero solo esporre la constatazione di un fatto evidentemente innegabile, e l’utilità di accordare l’estetica ed il buon gusto ai criteri commerciali di qualunque forma pubblicitaria.
Giuseppe Roveroni
Campo Grafico / Year I / N. 9 / September 1933
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THE AESTHETIC ADVERTISING
The newspaper, the magazine, a yearbook, a guide, a timetable, any printed matter have, today, become so completely embedded in our lives that no one can escape their influence even for that part concerning advertising. On the contrary, this advertising has gradually increased, absorbing the attention of even the most reluctant reader, both by the name of the product and by its form. And side by side with this development is the fate of major events that affect, at times, the life not only of companies, but of a population.
Considering this obvious importance of advertising, why not give it the appropriate attention and value as the best medium for its effectiveness? Why not consider as the 'foreground' of an advertising statement its 'aesthetics'? Advertising aesthetics, yes sirs. The belief that all it takes to get noticed and remembered is a big name, a black background or any kind of squiggle, is a mistaken belief.
With the general move of things towards perfection and maximum concentration, modern advertising must also move towards that clear, simple and sound 'rationalism'. And here is the need for order, for harmony, for aesthetics; which, it seems, has either moved away or remained far away. And this is a fact. For many years I have observed advertising in the most varied fields and in the most varied forms, but I have always found ugly advertising: not ugly as literary content, that being another matter, but ugly as form, as layout, as aesthetics.
Rarely have I noticed any good examples.
With the mentality of wanting to use all the space because it is paid for, here is filling up said space to the hilt, thus skipping all the effectiveness of the necessary recall. Examples of this kind can be seen in exuberance in any field and for any product in any newspaper. And the effects of this shortcoming are quickly deduced when we consider that "there is in us a constant need for order and harmony in everything we see, creating in us the very measure of things; and when this measure is surpassed or not reached, if at first a feeling of surprise arises in our spirit, this changes to contrariness and disappointment. If we pause a little to examine the strangeness of the thing, we then turn our heads and endeavour to think of beautiful and pretty things in order to dispel the impression received.
And here is already the failure of the advertisement because of its ugly form, even if the literary content is impeccably crafted. Because, remember this, the first impression of any advertisement is not the literary form with which it is written, but the aesthetic form. Our eye before reading sees. And since it does not immediately receive a good impression, a caress almost, it is certainly neither attracted nor persuaded, and runs away. To the detriment of the product that one wants to make known or affirm, and consequently of the manufacturer. I can't understand why such an unsightly garment persists, repeating itself daily without the slightest sign of stopping and deflection.
The cause of this insistence I do not know whether to look for it in the mentality of the 'House' or in the visual incapacity of the artist or printer, depending on whether the ad is drawn or composed. A little bit of one and a lot of the other. Being an industrialist certainly does not mean being an artist, and being an artist does not mean being a good advertising aesthete. The idea of the industrialist may be more or less good, but good must be the form given to it by the artist. Because even this form of art must have its own psychology, a backbone, a soul, a language like all the other arts. And in a certain sense perhaps more so.
For while all the other arts must 'speak' to the broad masses, invite them, convince them, persuade them to profit from product x, work y, or event z. With the above considerations, I do not wish to take on the role of critic or in any case depreciate today's advertising in its broadest sense; I only wish to state the observation of an obviously undeniable fact, and the usefulness of tuning aesthetics and good taste to the commercial criteria of any form of advertising.
Giuseppe Roveroni
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