CAMPO GRAFICO
1933/1939

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CAMPO GRAFICO 1933/1939

RIVISTA DI ESTETICA E DI TECNICA GRAFICA

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CAMPO GRAFICO: UNA ESPERIENZA CHE NON PUÒ RIPETERSI

Campo Grafico block 182 image

Non credo che l’esperimento di “Campo Grafico” si possa ripetere, almeno per ora, e credo di ravvisare tre motivi principali:
–  la mancanza del clima artistico favorevole
–  la scomparsa del tipografo artigiano appassionato del proprio lavoro
–  la rivoluzione nel campo delle comunicazioni visive che sposta il nostro interesse dal comunicato stampa al comunicato televisivo e fotografico.

Si era creato fra il ’30 e il ’40, dopo l’affermazione delle nuove correnti artistiche, un clima favorevole al rinnovamento delle arti applicate e fra queste anche la tipografia.
Razionalismo e funzionalità furono le direttrici di marcia indicate dalla stessa architettura razionale che andava affermandosi in questi anni.

“Campo Grafico”, spazzando via gli ultimi residui di una tipografia tardo floreale e dannunziana, gettò le basi di una nuova estetica imperniata sul libero equilibrio e sulla più stretta funzionalità. Si possono notare in alcune pagine di “Campo Grafico” equilibri asimmetrici dettati dall’architettura razionale, così come si possono notare nell’architettura di quegli anni, facciate con equilibri da pagina tipografica.

Questa collaborazione e comunione ideale con le arti fu il tema centrale e costante di “Campo Grafico”, donde trasse la linfa necessaria per lo sviluppo della nuova tipografia.
La dinamica di “Campo Grafico” è nota. Una rivista redatta composta e stampata da un gruppo di grafici ex allievi della Scuola del libro della Società Umanitaria durante il tempo libero, con pochissimi mezzi e molto spirito volontaristico. La stampa e la composizione veniva eseguita presso ditte che facevano a gara nell’ospitare i “campisti” la domenica o il sabato pomeriggio quando questo era possibile.

Per la diversa organizzazione del lavoro e per la diversa concezione del tempo libero dobbiamo riconoscere che oggi questo fatto è molto difficile a ripetersi. A differenza di altri movimenti d’avanguardia “Campo Grafico” nacque ed ebbe come centro propulsore l’officina tipografica, nacque cioè all’interno della tipografia per esigenza di rinnovamento sentita e maturata dagli elementi più avanzati della classe operaia.

Certo partì da una delle tipografie più moderne di quegli anni, tecnicamente aggiornata, la Vanzetti e Vanoletti, dove esisteva il gruppo più nutrito di campisti, fra cui il suo primo direttore Attilio Rossi, ma in altre tipografie vi erano uomini non meno preparati come Giovanni Peviani, Luigi Minardi, Luigi Laboni, Giuseppe Mugiani e molti altri.

Bisogna pensare che in quegli anni almeno il 90% del lavoro tipografico era progettato in tipografia e l’ansia di rinnovamento era sentita un po’ dovunque, è perciò facile capire il successo di una rivista che si presentava ogni mese rinnovata dalla copertina alle inserzioni pubblicitarie; le quali ultime si presentavano come soluzioni grafiche su un tema fisso… Una vera manna per il piccolo e medio tipografo sempre alla ricerca di soluzione a nuovi motivi grafici per il cliente e soprattutto desideroso di aggiornarsi perché appassionato del proprio lavoro.

Oggi le cose sono totalmente cambiate. Lo slittamento della progettazione dello stampato dalla tipografia all’agenzia pubblicitaria o all’ufficio stampa aziendale ha fatto scomparire il tipografo artigiano.
«Non ho bisogno nemmeno di caratteri nuovi – mi diceva un giorno un vecchio tipografo – tanto sono perfetti gli esecutivi che vengono dagli studi di progettazione delle agenzie con lettere trasferibili, oggi il nostro compito è di semplici stampatori».

La fotocomposizione poi sta decretando a poco a poco la scomparsa del compositore a mano, fedele interprete dello schizzo tipografico, quando non era lui stesso l’ideatore, la stessa figura del proto dall’occhio attento ai minimi squilibri della pagina, sta scomparendo sostituito dal direttore tecnico più preoccupato dei costi del lavoro e dell’intercambiabilità fra i diversi sistemi di stampa, specialmente oggi che per ragioni di economia e rapidità, un lavoro impostato tipograficamente viene trasferito e stampato più facilmente in offset.

«È la produzione che conta – mi diceva un giorno un esperto direttore – e aggiungeva – lo ricevo direttamente dal cliente menabò unitamente alle pellicole di fotocomposizione, riducendo così i tempi morti, e non abbiamo nemmeno bisogno dello stampatore coi baffi di quelli che avvertivano la minima dissonanza del colore, oggi la colorimetria ci risolve tutto senza padreterni, e in brevissimo tempo».

La fotocomposizione, che fra non molto sarà completata dalla lettura elettronica, ha un grande avvenire, ma a mio avviso bisogna creare in primo luogo la figura del nuovo progettista, colui che sappia progettare conoscendo e sfruttando le possibilità delle fotocompositrici, allora sì che si creeranno i presupposti per una nuova estetica grafica, per ora queste macchine sono sfruttate troppo banalmente, a solo scopo di lucro e per soli testi editoriali.

L’altra causa, forse la più importante a determinare il decrescente interesse alla grafica intesa come problema estetico, è la perdita del ruolo di guida che la grafica, e la tipografia in particolare, ha sempre esercitato nella comunicazione visiva. La creatività, l’originalità, l’impostazione stessa di un messaggio visivo è passata oggi agli esperti del fotocolor e della televisione, intere campagna stampa sono risolte oggi con immagini tratte da film pubblicitari televisivi. 

La tipografia entra in questi comunicati stampa con un semplice titolo e qualche riga di testo senza nemmeno problemi di chiarezza e leggibilità. Leggibilità e comunicabilità sono compiti oggi affidati all’immagine fotografica.

Una certa curiosità vedo che hanno destato il modo e i locali dei nostri incontri, delle nostre riunioni. Situazioni e luoghi difficile a ricrearsi. Difficili a ripetersi perché Milano ha perso la sua dimensione umana. È strano come in una epoca dove i mezzi di trasporto abbiano di gran lunga ridotto le distanze, le comunicazioni umane si sono fatte più difficili. I locali pubblici non sono più luoghi d’incontro ma semplici luoghi di passaggio

Noi di “Campo Grafico” ci si riuniva la sera dopo cena in un semplice locale di via delle Asole oggi scomparso, ci si riuniva attorno a un litro di vino spillato dalla botte in un locale che il martedì funzionava da redazione. Si discuteva, si schizzava, si correggevano bozze, si davano appuntamento a fornitori e a inserzionisti. Il conduttore del locale ci aveva concesso l’uso di un armadio a muro per conservare la corrispondenza e i documenti. 
Come si può ripetere un fatto simile oggi?

Per seguire le polemiche sull’arte e incontrarci con gli artisti, frequentavamo un altro locale, il caffè Craja in piazzetta Filodrammatici. In questo locale frequentato da artisti, scrittori e poeti d’avanguardia si potevano incontrare sovente artisti di tutta Europa di passaggio da Milano. Alcuni di essi dalle tendenze spiccatamente grafiche furono ospitati nelle pagine di “Campo Grafico”.

Ricordo un altro locale, più bohemien, “Ai vini sardi” in Via Statuto, dove confluivano dinnanzi a un bicchiere di vernaccia o di oliena gli artisti che occupavano le soffitte dei caseggiati di via Solferino 31 e di Corso Garibaldi 89. Oggi il locale esiste ancora ma non ha più l’atmosfera di allora, è diventato troppo di lusso e non più adatto alle possibilità degli artisti.

Il diminuito spirito polemico, l’assoluta mancanza di interessi attorno ai problemi della categoria, ha creato anche tra i grafici una certa apatia, una certa indifferenza a frequentare riunioni, luoghi d’incontro. Spesso poi, in occasione di una riunione, di un dibattito, ci si sente rispondere negativamente, perché nel tal luogo, vicino a quel tal locale non si sa dove posteggiare la macchina. E questa la nota finale!


Carlo Dradi
Linea Grafica
N. 5, 1977


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CAMPO GRAFICO: AN EXPERIENCE THAT CANNOT BE REPEATED

I do not believe that the "Campo Grafico" experiment can be repeated, at least for now, and I think I see three main reasons for this:
- the lack of the favorable artistic climate
- the disappearance of the artisan printer who is passionate about his work
- the revolution in the field of visual communications that shifts our interest from the press release to the television and photographic release.

A favorable climate for the renewal of the applied arts had been created between the 1930s and 1940s, after the emergence of new artistic currents, and typography was among them.
Rationalism and functionality were the directions of travel indicated by the same rational architecture that was emerging in these years.

Campo Grafico, sweeping away the last remnants of a late floral and typography by Gabriele D'Annunzio, laid the foundations of a new aesthetic hinged on free balance and the strictest functionality. One can see in some pages of Campo Grafico asymmetrical balances dictated by rational architecture, just as one can see in the architecture of those years, facades with typographic page balances.
This collaboration and ideal communion with the arts was the central and constant theme of "Campo Grafico", from which it drew the necessary sap for the development of the new typography.

The dynamic of Campo Grafico is well known. A journal compiled composed and printed by a group of graphic designers who were alumni of the Humanitarian Society's Book School during their free time, with very little means and much volunteer spirit. The printing and typesetting was done at firms that competed in hosting the "campisti" on Sundays or Saturday afternoons when this was possible.

Because of the different organization of work and the different conception of leisure time we must recognize that today this fact is very difficult to repeat. Unlike other avant-garde movements, Campo Grafico was born and had as its driving center the printing workshop, that is, it was born within the printing shop out of a need for renewal felt and matured by the most advanced elements of the working class.

Certainly it started from one of the most modern, technically up-to-date printing houses of those years, Vanzetti and Vanoletti, where there was the largest group of campisti, including its first director Attilio Rossi, but in other printing houses there were men no less prepared such as Giovanni Peviani, Luigi Minardi, Luigi Laboni, Giuseppe Mugiani and many others.

You have to think that in those years at least 90 percent of typographic work was designed in the print shop and the anxiety of renewal was felt almost everywhere, it is therefore easy to understand the success of a journal that presented itself every month renewed from the cover to the advertisements; the latter were presented as graphic solutions on a fixed theme... A real boon for the small and medium typographer always looking for solutions to new graphic motifs for the client and above all eager to update because he was passionate about his work.
Today things have totally changed. The shift of print design from the print shop to the advertising agency or corporate press office has made the artisan printer disappear.

"I don't even need new typefaces – an old typographer told me one day – thanks to the perfect executives that come from agency design studios with transferable letters, today our job is as mere printers.”
Photocomposition then is decreeing little by little the disappearance of the hand compositor, faithful interpreter of the typographical sketch, when he himself was not the creator, the same figure of the proto with a keen eye for the slightest imbalances on the page, is disappearing replaced by the technical director more concerned with labor costs and interchangeability between different printing systems, especially today that for reasons of economy and speed, a job set typographically is more easily transferred and printed in offset.

"It's the production that counts – an experienced director told me one day – adding – I receive it directly from the client dummy together with the photocomposition films, thus reducing downtime, and we don't even need the mustachioed printer of those who sensed the slightest dissonance of color, today colorimetry solves everything for us without fatherhood, and in a very short time”.

Photocomposition, which before long will be complemented by electronic reading, has a great future, but in my opinion we must first create the figure of the new designer, the one who knows how to design by knowing and exploiting the possibilities of photocomposers, then the conditions for a new graphic aesthetic will be created; for now these machines are exploited too trivially, for profit and for editorial texts only.

The other cause, perhaps the most important in determining the decreasing interest in graphic design understood as an aesthetic problem, is the loss of the leading role that graphic design, and typography in particular, has always exercised in visual communication. Creativity, originality, the very setting of a visual message has now passed to the experts in photocolor and television, entire press campaigns are solved today with images taken from television advertising films. 

Typography enters these press releases with a simple headline and a few lines of text without even problems of clarity and readability. Readability and communicability are tasks entrusted to the photographic image today.
A certain curiosity I see aroused in the manner and locales of our meetings, our gatherings. Situations and places difficult to recreate themselves. Difficult to repeat because Milan has lost its human dimension. It is strange how in an age where means of transportation have greatly reduced distances, human communication has become more difficult. Public places are no longer meeting places but merely places of passage. 

We in Campo Grafico used to meet in the evenings after dinner in a simple bar on Via delle Asole that has now disappeared, we would gather around a liter of wine tapped from the barrel in a room that functioned as an editorial office on Tuesdays. We would discuss, sketch, proofread, and make appointments with suppliers and advertisers. The tenant of the room had granted us the use of a built-in closet to store correspondence and documents. 
How can such a thing be repeated today?

To follow art controversies and meet with artists, we used to frequent another venue, the Craja café in Piazzetta Filodrammatici. In this establishment frequented by avant-garde artists, writers and poets, one could often meet artists from all over Europe who were passing through Milan. Some of them with distinctly graphic tendencies were hosted in the pages of Campo Grafico.

I remember another, more bohemian place, "Ai vini sardi" on Via Statuto, where the artists who occupied the attics of the blocks of flats in Via Solferino 31 and Corso Garibaldi 89 used to meet in front of a glass of vernaccia or oliena. Today the place still exists but it no longer has the atmosphere of that time, it has become too upscale and no longer suitable for the artists' possibilities.
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The diminished polemical spirit, the absolute lack of interest around the problems of the category, has created even among graphic designers a certain apathy, a certain indifference to attending reunions, meeting places. Often then, at a meeting, at a debate, one hears a negative answer, because in the such place, near that such place, one does not know where to park the car. And that's the final note!

Carlo Dradi
Linea Grafica
N. 5, 1977

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